domenica 25 maggio 2014

La memoria di Umberto Eco (1)

Poichè ritorna inesorabile il problema della memoria (comincio' Platone, ricordate?) ho deciso di mettere on line "ex libris" alcune bustine di minerva dell'Espresso pubblicate negli anni da Umberto Eco.



Rustaveli, chi era costui?
di Umberto Eco
Arriveremo a una educazione adatta al mondo globalizzato quando il 99 per cento degli europei colti ignora quello che per i georgiani è uno dei poemi più grandi della storia?
(26 novembre 2010)

Rustaveli poeta georgiano
Il canone occidentale" di Harold Bloom definiva il Canone come "la scelta di libri nelle nostre istituzioni didattiche" e stabiliva che la vera domanda che esso poneva era: "Che cosa dovrà tentare di leggere, in questo tardo momento storico, l'individuo che ancora desideri leggere?". E osservava che i tredici anni di un curriculum scolastico completo permettevano al massimo di leggere una piccola scelta dei grandi scrittori occidentali, trascurando quelli di altre tradizioni.
Ma anche attenendoci alla sola tradizione occidentale, quali sono i libri che hanno formato la cultura sia di un francese che di un finlandese, e che ciascuno dovrebbe leggere? Certamente la cultura di ciascun occidentale è stata influenzata dalla Divina Commedia, da Shakespeare e, andando indietro, da Omero, Virgilio o Sofocle. Ma ne siamo stati influenzati perché li abbiamo letti?
Viene in mente il libro di Bayard già recensito in questa bustina ("Come parlare di un libro senza averlo mai letto"), ed è chiaro come il sole che la Bibbia ha segnato profondamente sia la cultura ebraica che quella cristiana, e persino la cultura dei miscredenti occidentali, ma questo non significa che tutti coloro che ne sono stati influenzati l'abbiano letta tutta, dalla prima pagina all'ultima. E lo stesso si può dire per esempio di Shakespeare per non dire di Joyce. E è necessario, per essere una persona colta, e persino un buon cristiano, aver letto (della Bibbia) anche "i Re" o "I numeri"? Bisogna aver letto "L'Ecclesiaste" o basta, come accade ai più, sapere che condanna la "vanitas vanitatum"?

Quindi la questione del canone non è omologa a quella del Syllabus che, specie nelle scuole americane, rappresenta l'insieme delle cose che uno studente deve aver letto entro la fine del suo corso di studi.
Il problema peraltro oggi si complica e la settimana scorsa si è discusso a Monaco, durante un raduno internazionale di scrittori, su cosa si debba intendere per canone nell'era della globalizzazione. Se gli abiti griffati europei vengono prodotti in Cina, se usiamo automobili e computer giapponesi, se anche ad Afragola si mangiano hamburger invece della pizza, se il mondo ha insomma raggiunto dimensioni provinciali ed abbiano all'angolo della nostra strada una moschea, e nelle nostre scuole bambini colorati chiedono che vengano insegnate anche le cose della loro religione, quale sarà il nuovo canone?
In certe università americane si era risposto tempo fa con un gesto che, più che "politically correct" era "politically stupid": siccome abbiamo tanti studenti neri, si diceva, non dobbiamo più insegnare Shakespeare ma la letteratura africana. Bello scherzo giocato a quei ragazzi che poi avrebbero dovuto vivere negli Stati Uniti, ignorando cosa volesse dire "essere o non essere", e quindi rimanendo sempre ai margini della cultura dominante. Caso mai, come si suggerisce oggi per le ore di religione, i ragazzi dovrebbero venire a sapere qualcosa, oltre che del Vangelo, anche del Corano, o della tradizione buddista. E così non sarebbe male che alla media superiore, oltre che sentire parlare della civiltà greca, lo studente apprendesse qualcosa della grande civiltà letteraria araba, indiana o giapponese.
Recentemente ho partecipato a Parigi a un incontro tra intellettuali europei e intellettuali cinesi, ed era umiliante vedere come i nostri interlocutori sapessero tutto di Kant e di Proust, e suggerissero paralleli (giusti o sbagliati che fossero) tra Lao Tze e Nietzsche, mentre noi in genere non andavamo al di là di Confucio, e spesso solo per sentito dire.

Ma ecco che anche questo ideale ecumenico si scontra con alcune difficoltà. Puoi raccontare a un giovane italiano "L'Iliade" perché di Ettore o di Agamennone ha sentito parlare in giro e fan parte della sua cultura spicciola persino espressioni come il giudizio di Paride e il tallone di Achille (ma recentemente a un esame universitario un nostro aspirante alla laurea breve credeva che il tallone di Achille fosse qualcosa come il ginocchio della lavandaia o il gomito del tennista). Ma come potrai interessarlo al "Mahabharata" o a Omar Khayyám, e in modo che queste nozioni lascino una minima traccia nella sua memoria? Arriveremo davvero a una educazione adatta al mondo della globalizzazione quando il 99 per cento degli europei colti ignora che per i georgiani uno dei poemi più grandi di tutta la storia letteraria è stato quello di Rustaveli, "L'uomo dalla pelle di pantera", e non ci siamo neppure messi d'accordo (controllate su Internet) se in quella lingua dall'alfabeto illeggibile si parlava di una pelle di pantera o non piuttosto di tigre o di leopardo? O continueremo a domandarci "Rustaveli, chi era costui?".

COMMENTO

Secondo un concetto entropico di sapere e cultura, ci sono dei limiti fisici invalicabili. Dato un rapporto estensione/conoscenza, all'aumentare dell'uno diminuisce l'altro. Il dubbio è se sapere poco di tutto o di tutto un po'. L'uomo rinascimentale è inapplicabile, in un contesto globale. La wunderkammer mentale in grado di contenere tutto non esiste per cui ritengo che si dovrà raggiungere un compromesso dove, ad argomento specifico, lo studioso dovrà informarsi su più culture. Il lettore quidam, come me e molti altri, credo che come sempre, seguirà i rivoli gravitazionali del gusto, dell'occasione, del passaparola, in un clinamen casuale.


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