Rustaveli, chi era costui?
di Umberto Eco
Arriveremo a una
educazione adatta al mondo globalizzato quando il 99 per cento degli
europei colti ignora quello che per i georgiani è uno dei poemi più
grandi della storia?
(26 novembre 2010)
Rustaveli poeta georgiano
Il canone occidentale"
di Harold Bloom definiva il Canone come "la scelta di libri
nelle nostre istituzioni didattiche" e stabiliva che la vera
domanda che esso poneva era: "Che cosa dovrà tentare di
leggere, in questo tardo momento storico, l'individuo che ancora
desideri leggere?". E osservava che i tredici anni di un
curriculum scolastico completo permettevano al massimo di leggere una
piccola scelta dei grandi scrittori occidentali, trascurando quelli
di altre tradizioni.
Ma anche attenendoci alla
sola tradizione occidentale, quali sono i libri che hanno formato la
cultura sia di un francese che di un finlandese, e che ciascuno
dovrebbe leggere? Certamente la cultura di ciascun occidentale è
stata influenzata dalla Divina Commedia, da Shakespeare e, andando
indietro, da Omero, Virgilio o Sofocle. Ma ne siamo stati influenzati
perché li abbiamo letti?
Viene in mente il libro di
Bayard già recensito in questa bustina ("Come parlare di un
libro senza averlo mai letto"), ed è chiaro come il sole che la
Bibbia ha segnato profondamente sia la cultura ebraica che quella
cristiana, e persino la cultura dei miscredenti occidentali, ma
questo non significa che tutti coloro che ne sono stati influenzati
l'abbiano letta tutta, dalla prima pagina all'ultima. E lo stesso si
può dire per esempio di Shakespeare per non dire di Joyce. E è
necessario, per essere una persona colta, e persino un buon
cristiano, aver letto (della Bibbia) anche "i Re" o "I
numeri"? Bisogna aver letto "L'Ecclesiaste" o basta,
come accade ai più, sapere che condanna la "vanitas vanitatum"?
Quindi la questione del
canone non è omologa a quella del Syllabus che, specie nelle scuole
americane, rappresenta l'insieme delle cose che uno studente deve
aver letto entro la fine del suo corso di studi.
Il problema peraltro oggi
si complica e la settimana scorsa si è discusso a Monaco, durante un
raduno internazionale di scrittori, su cosa si debba intendere per
canone nell'era della globalizzazione. Se gli abiti griffati europei
vengono prodotti in Cina, se usiamo automobili e computer giapponesi,
se anche ad Afragola si mangiano hamburger invece della pizza, se il
mondo ha insomma raggiunto dimensioni provinciali ed abbiano
all'angolo della nostra strada una moschea, e nelle nostre scuole
bambini colorati chiedono che vengano insegnate anche le cose della
loro religione, quale sarà il nuovo canone?
In certe università
americane si era risposto tempo fa con un gesto che, più che
"politically correct" era "politically stupid":
siccome abbiamo tanti studenti neri, si diceva, non dobbiamo più
insegnare Shakespeare ma la letteratura africana. Bello scherzo
giocato a quei ragazzi che poi avrebbero dovuto vivere negli Stati
Uniti, ignorando cosa volesse dire "essere o non essere", e
quindi rimanendo sempre ai margini della cultura dominante. Caso mai,
come si suggerisce oggi per le ore di religione, i ragazzi dovrebbero
venire a sapere qualcosa, oltre che del Vangelo, anche del Corano, o
della tradizione buddista. E così non sarebbe male che alla media
superiore, oltre che sentire parlare della civiltà greca, lo
studente apprendesse qualcosa della grande civiltà letteraria araba,
indiana o giapponese.
Recentemente ho
partecipato a Parigi a un incontro tra intellettuali europei e
intellettuali cinesi, ed era umiliante vedere come i nostri
interlocutori sapessero tutto di Kant e di Proust, e suggerissero
paralleli (giusti o sbagliati che fossero) tra Lao Tze e Nietzsche,
mentre noi in genere non andavamo al di là di Confucio, e spesso
solo per sentito dire.
Ma ecco che anche questo
ideale ecumenico si scontra con alcune difficoltà. Puoi raccontare a
un giovane italiano "L'Iliade" perché di Ettore o di
Agamennone ha sentito parlare in giro e fan parte della sua cultura
spicciola persino espressioni come il giudizio di Paride e il tallone
di Achille (ma recentemente a un esame universitario un nostro
aspirante alla laurea breve credeva che il tallone di Achille fosse
qualcosa come il ginocchio della lavandaia o il gomito del tennista).
Ma come potrai interessarlo al "Mahabharata" o a Omar
Khayyám, e in modo che queste nozioni lascino una minima traccia
nella sua memoria? Arriveremo davvero a una educazione adatta al
mondo della globalizzazione quando il 99 per cento degli europei
colti ignora che per i georgiani uno dei poemi più grandi di tutta
la storia letteraria è stato quello di Rustaveli, "L'uomo dalla
pelle di pantera", e non ci siamo neppure messi d'accordo
(controllate su Internet) se in quella lingua dall'alfabeto
illeggibile si parlava di una pelle di pantera o non piuttosto di
tigre o di leopardo? O continueremo a domandarci "Rustaveli, chi
era costui?".
COMMENTO
Secondo
un concetto entropico di sapere e cultura, ci sono dei limiti fisici
invalicabili. Dato un rapporto estensione/conoscenza, all'aumentare
dell'uno diminuisce l'altro. Il dubbio è se sapere poco di tutto o
di tutto un po'. L'uomo rinascimentale è inapplicabile, in un
contesto globale. La wunderkammer mentale in grado di contenere tutto
non esiste per cui ritengo che si dovrà raggiungere un compromesso
dove, ad argomento specifico, lo studioso dovrà informarsi su più
culture. Il lettore quidam, come me e molti altri, credo che come
sempre, seguirà i rivoli gravitazionali del gusto, dell'occasione,
del passaparola, in un clinamen casuale.
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